lunedì 29 settembre 2014

29 settembre 2014 - Altre volpi

La volpe di cui ho parlato la settimana scorsa, in realtà, non è stata la prima volpe della mia vita.
Già nel 2005 mi è capitato di incontrarne una, di notte, nel parco dell'Uccellina, lungo la strada che da Alberese porta alla spiaggia del parco.

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Anche allora incontrare una volpe che si avvicinava all'uomo tanto da mangiare dalle sue mani mi era sembrato un miracolo.
O, per meglio dire, una meravigliosa magia romantica: per la prima volta vado in vacanza con un certo nuovo fidanzato , e guarda cosa succede, quando siamo insieme!

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In realtà, le volpi dell'Uccellina avevano l'abitudine di presentarsi lungo quella strada ogni sera, per farsi nutrire dai turisti.
Ne aveva scritto con sdegno Concita de Gregorio, stigmatizzando l'imbastardirsi della vita selvaggia. Gli animali si avvicinano troppo all'uomo, e noi li corrompiamo, diceva lei.

Io trovo consolatorio e tranquillizzante  che ci siano sempre persone che hanno una visione più obbiettiva, integra ed etica - diciamocelo: anche più intelligente - della mia. Io ho persino il coraggio di divertirmi quando vado allo zoo. Mi intristisco anche un pochino, è vero, ma non abbastanza. Prevale comunque il piacere che provo a guardare gli animali.

Ma non è di questo che volevo parlare, oggi.
Oggi voglio ricordare che queste volpi, mentre prendevano il pane dalle nostre mani, guardavano altrove - mai noi.
Certo, stavano sul chi va là. Avevano paura e tenevano la situazione sotto controllo. 
Ma non è solo questo.

Il lunedì in genere vado da Lidl.
Sono un'abitudinaria: mi piace dare un occhio alle nuove offerte. Guardo incuriosita i formaggi "francesi" e i bagel "americani" delle vendite tematiche. Ci tengo a comprare gli Gnocchi della Nonna col 20% di sconto prima che gli altri clienti ne facciano incetta.
Due o tre settimane fa, da Lidl ho incrociato una ragazza di colore che ha risvegliato in me ricordi ancestrali: attraversava il negozio con una grossa confezione di detersivo in testa. 
Mi sono chiesta: chissà se anche la mia nonna del Molise ha trasportato la spesa a quel modo, quand'era a Milano. Tanto tempo fa, al paese di mio padre le donne facevano tutte così. Ora, la zona del trasporto cervicale si è spostata molto più a sud.
Poco più tardi, quella ragazza me la sono trovata poche clienti avanti a me, alla cassa. La cassiera le ha chiesto qualcosa e lei ha eseguito, senza dire una parola. La nostra lingua, quindi, la capiva.
Però non le ha risposto, e soprattutto non l'ha guardata in faccia.
Non ha mai guardato nessuno in faccia. Né all'interno del negozio, né una volta uscita.
Se n'è andata verso casa sua, sotto gli occhi ammirati di tutti, trasportando la sua spesa sulla testa, con un passo molleggiato da giraffa. 
Non era lei a Milano: eravamo noi a essere trasportati nella savana. Eravamo noi nel posto sbagliato.

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E io mi chiedo: quante cose possiamo fare, senza guardare? Da quanto male possiamo difenderci? Quanto riusciamo a preservare la nostra dignità, semplicemente escludendo dal nostro campo visivo l'interlocutore?

Forse, il primo lupo che ha preso del cibo dalle mani dell'uomo guardandolo negli occhi è stato anche il primo che è diventato cane.

Un ultimo episodio.
Le giornate si sono accorciate, non posso più tornare a casa in bicicletta, la sera. Ormai è troppo buio. Troppo pericoloso.
La settimana scorsa mi sono goduta una delle ultime corse verso casa in autonomia.
Il tempo era stupendo. Il cielo era di un blu cina intenso e luminoso. Tutto il mondo era blu cina e luminoso. Gli alberi del parco si stagliavano scuri contro il resto del mondo, i prati erano di un verde fosforescente, e le finestre accese delle case risaltavano allegre come le lucine del presepe. 

Immagine da Google

Io immaginavo le famiglie nelle cucine, le signore che con un gesto - hop! - lanciavano la tovaglia sulla tavola, e mi sembrava che stessero apparecchiando anche per me. Apparecchiavano il mondo per me, che non capivo bene se ero dentro una casa o fuori, per la strada.
Insomma: io vado, con la mia lucina della bici accesa, col mio gilet arancione fosforescente addosso, e nell'ultimo tratto di parco vedo venirmi incontro tre ragazze che fanno jogging. Anche loro sono illuminate da delle luci. "Ma che brave!" mi dico, "Segnalano la propria presenza per correre in tutta sicurezza!".
Io mi sposto sulla destra, perché in questo paese si usa così. Immagino che anche la ragazza che mi viene incontro si sposterà sulla destra. D'altronde, se va in giro con la lucina è perché è guardinga e attenta alla situazione.
E ci avviciniamo sempre di più.
"Adesso si sposta!", continuo a dirmi. E ci avviciniamo. "Si sposterà", continuo a ragionare. E siamo sempre più vicine. "Si sposter.."
Non si è spostata.
Per la seconda volta in meno di un mese sono finita col sedere a terra.
Perché le lucine che illuminavano le giovani atlete non erano luci di segnalazione.
Era il riflesso del display dei cellulari da cui non staccavano gli occhi.

Delle vere volpi!




Buona settimana

Silvana

lunedì 22 settembre 2014

22 settembre 2014 - L'avventura

Vi ricordate questa?



E mi rivolgo, chiaramente, a quelli di voi che hanno più o meno la mia età: chi ha (molto) meno di 50 anni non può ricordare questa trasmissione.
A me piaceva solo la sigla - infatti non mi è rimasto in mente altro. 
Quanto al resto, non so se non apprezzassi l'avventura in sé, o la forma documentaristica delle trasmissioni.
Però, della cosiddetta "avventura" un'idea me l'ero fatta - anzi due: avventura vuol dire innanzitutto rischiare la pelle, magari anche divertendosi un po'. Secondo concetto chiaro alla mia mente: la mia vita di placida bambina non poteva dirsi avventurosa. Chissà nel futuro.

E il futuro è: sono diventata bibliotecaria. 
Lo sono ormai da diversi anni.
Ho i miei orari, i luoghi tra i quali mi sposto secondo schemi abbastanza fissi - la biblioteca, la casa, la scuola dove canto col coro, la scuola d'arte dove faccio ceramica etc. etc.
E' avventurosa, la mia vita?

Ebbene, alcuni di voi sanno che sono la persona con più numeri di telefono sulla faccia della terra.

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 Oltre al fisso, ho il cellulare n. 1, sempre acceso. Ho il n. 2 di riserva, sempre acceso. Il 3 e il 4 sono sempre spenti, ma ci sono. Dunque, per il momento arrivo a 5, ma non escludo che in futuro la situazione possa cambiare - nel senso che aggiungerò ulteriori numeri di telefono. Chiaramente, la mia è una mente malata, segnata da un trauma. 
E vi racconto.
Una volta ero una persona normale. Avevo una vita tranquilla e un solo numero di cellulare, che mi piaceva tanto.
Questo numero ha cominciato a essere bersagliato da un torturatore anonimo che, di giorno o di notte, alternando anche col fisso, ogni poco mi chiamava e mi chiamava e mi chiamava senza rispondere mai.
Ho cambiato i numeri di telefono.
Lo stalker ha individuato anche quelli e ha ripreso a torturarmi.
E la faccio breve: mentre io vivevo la mia vita tranquilla, senza far male a nessuno, convinta come gli orsetti di Buzzati che il mondo mi amasse e ovunque andassi mi avrebbe accolto con focacce e dolcetti, 

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una pazza furiosa mi voleva uccidere.
Avevo una rivale in amore che voleva liberarsi di me, e non lo sapevo.
Le sue telefonate erano solo di riscaldamento.

Insomma: rischiavo la vita senza saperlo.
Come avrebbe detto la Silvana bambina, sì: la mia vita era decisamente avventurosa.

Al mio concetto infantile di avventura, col tempo, ho aggiunto qualche sfumatura in più.
Pur non intendendomene molto, adesso direi che "avventura" è fronteggiare ciò che è inatteso, selvaggio, fuori dagli schemi, poco familiare.
Prendete ad esempio mia madre.

Mia madre è la tipica vecchina che si aggira nel quartiere col carrello della spesa.

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Vive una sua vita di routine - e questa routine, se da una parte un po' l'annoia, dall'altra è la sua salvezza.
Sempre il solito giro per fare la spesa. Il giornale - sempre quello - da leggere tra le 13 e le 16.
E il cibo per uccelli e gatti randagi da preparare.
Perché mia madre è una gattara piccionara.
Ogni giorno fa la polenta e la tagliuzza a dadi per "i suoi amici", e si spende buona parte della pensione in crocchette e scatolette per gatti, che poi sistema giù in cortile in punti strategici, immancabilmente senza dubbio alcuno.
Tanti anni fa mio padre è morto, di sera, d'infarto, all'improvviso, e la mattina dopo mia madre, disperata e in lacrime, tagliava dadini di polenta.
Qualche anno fa lei è stata operata di cancro al seno, ma mi ha lasciato una fila di scatolette con tutte le istruzioni del caso, perché io facessi le sue veci, ogni giorno in cui è stata trattenuta in ospedale. E io non ho osato disobbedire, of course.

E' avventurosa la vita di mia madre?
Non direi.
"Diventerai una gattara!", anzi, è stato l'insulto, il ricatto morale che un accompagnatore sadico-narcisista mi ha rivolto, tempo fa, per significarmi il disprezzo che provava per la mia vita insulsa.

Ebbene, qualche giorno fa mia madre mi telefona. Un tremito d'emozione, un tono di trionfo vibrano nella sua voce.
"Indovina chi viene a mangiare le crocchette, di notte!" mi fa.
"Il gatto bianco?" dico io
"No!"
"Il gatto nero?"
"NO!", risponde lei.
"Quello con la coda mozza? Quella col pelo lungo? Quello con le zampe storte, il muso quadrato, le orecchie a pois?"
"NO, NO, NO, NO,NNNNOOOOOO!!!!!!!"

Insomma: guardate qui sotto chi sta nutrendo mia madre:










Nella cementificata periferia di Milano, tra i palazzi ed i cancelli...












Guardate ancora più sotto (sto cercando di creare suspense e sorpresa)....








Ci siamo quasi....









Ebbene: ecco

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Foto da FB


Come dice Forrest Gump: avventura è chi avventura fa.



Buona settimana!


Silvana

lunedì 15 settembre 2014

15 ottobre 2014 - Altri viaggi

“Ma tu sei lenta come noi? Sei veloce come noi?”
Questa è stata l’argomentazione principale con cui, qualche tempo fa, una mia amica mi ha comunicato che non era opportuno che partecipassi con lei e un'altra "ragazza" a un certo viaggio.
E non posso darle torto: se da una parte non è bello vedere cose nuove da soli, perché non hai nessuno a cui comunicare le tue impressioni, dall’altra essere forzati a modificare la propria velocità d’esplorazione può diventare una vera e propria tortura.

Io sono stata molto fortunata, nel mio viaggio a Dublino, a incontrare Inna.

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Io e lei ci siamo ritrovate abbastanza casualmente a visitare insieme il Museo Archeologico, finendo per scoprire che i nostri ritmi di visitazione sono altamente compatibili.
Non solo.
Quando io, guardando una ciotola simile a questa

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le ho detto che a me piacerebbe moltissimo vedere – sempre che sia stato individuato – il più antico manufatto umano che porti un segno di decorazione, perché mi colpisce e mi commuove notare in opere più che preistoriche il segno di un istinto così forte nell’animo umano, e cioè il bisogno di rendere belle le cose, lei ha portato avanti il discorso, ricordandomi quanto sia antico anche il bisogno di fare musica, ispirato dai suoni della natura, e io sono andata ancora un po’ più in là, citando la necessità universale e insopprimibile che abbiamo noi umani di contarcela su e di inventare storie.
E questo reciproco scambio di impressioni e ragionamenti ci è stato di grande soddisfazione. (Aggiungo tra parentesi che, tra una chiacchiera e l’altra, il Museo Archeologico, alla fine, lo abbiamo visto solo a metà. Sarà il caso di tornare a completare l’opera…).

Come ho già avuto modo di dire, trovo che la preistoria sia un periodo di grande fascinazione.
Infatti, quando sento chiedere nelle interviste: “Se potessi fare un viaggio nel tempo, quale epoca vorresti visitare?”, io per quanto mi riguarda ho la risposta pronta.
A me piacerebbe poter assistere all’attimo in cui due uomini – o due donne, o molto romanticamente un uomo e una donna – si sono scambiati la prima parola. Cioè, per meglio dire, si sono scambiati il primo verso, e quello che lo ha emesso sapeva cosa intendesse dire, e il secondo l’ha capito, e l’ha ripetuto a un terzo che a sua volta ha capito, e quindi tutto il gruppo, per convenzione, si è messo d’accordo sul fatto che “Gnu” vuol dire: “Accidenti, che belle nuvole!”.

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Oppure, mi piacerebbe assistere a un momento storico in cui si è provato un grande entusiasmo. Un momento in cui non potevi non essere felice, euforico, pieno di speranza. Ad esempio, alla fine della guerra


O anche all'inizio di una Rivoluzione. Quando ancora credi di andare verso un'era di uguaglianza e libertà. Che so: la presa della Bastiglia.

Delacroix: La Prise de la Bastille

Ma se devo dire la vera verità, di più ancora mi interesserebbe vedere il passato recente di qualcosa che mi è molto familiare.
Ad esempio, mi piacerebbe vedere l’Italia prima della speculazione edilizia. L’Italia, appena prima della contemporaneità. Non ci sarebbe bisogno di andare molto indietro nel tempo. MI basterebbero gli anni ’30, e persino gli anni ’50.
Chissà com’era bella, allora, l’Italia. E’ bella persino adesso, con tutto quello che le è successo.
Maurizio Cattelan: Il Belpaese

E ancora più vicino a me: sarei curiosa di vedere, molto semplicemente, la zona di periferia dove abito.
Chissà com’era il mio quartiere, quando ci venivano i nobili a trascorrere l’estate da Milano

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Villa Manzoni - Brusuglio di Cormano (MI)

Mentre adesso è così

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Ma il viaggio che mi straccerebbe il cuore, quello che non riesco nemmeno a pensare, da tanto mi emoziona, è un ritorno sul lago d’Iseo negli anni ’40, per conoscere mia madre bambina.

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Chissà che tipa era. Chissà se avrei potuto parlarle, o insegnarle qualcosa di quello che ho capito nella mia vita.
Così poi, quando mi ha messo al mondo, lei magari sarebbe stata un po’ diversa, un po’ più simile a me, o comunque ci saremmo capite meglio.
E io avrei perso molto, molto meno tempo.


Buona settimana!


Silvana

lunedì 8 settembre 2014

8 settembre 2014 - Hit list celtica


Poco più di una settimana fa ero sull’aereo che mi riportava da Dublino a casa mia.
Avevo il finestrino alla mia sinistra, e alla mia destra un baldo e bravo giovanotto, studente del DAMS di Bologna, che tornava coi genitori da un viaggio premio di qualche giorno, elargito al padre dalla sua ditta.
Era stato rapito in conversazione dall’irlandese seduto al suo fianco, il giovine, che evidentemente contagiato dall’atmosfera di comunicazione generalizzata tipica dell’Isola di Smeraldo, nell’unico momento di pausa concessogli dal suo compagno di viaggio si volta verso di me (disdetta!) per infliggermi a sua volta i miei buoni 10 minuti di socializzazione forzata.
E’ vero, la colpa è stata mia: per guadagnarmi qualche minuto di riposo mentale gli ho chiesto che cosa gli fosse piaciuto più di tutto, di Dublino e dell’Irlanda. Giusto per tenere la sua mente occupata in una risposta.
Non avevo tenuto conto dell’effetto boomerang: al momento debito, anche lui mi ha chiesto: “E a lei, che cosa è piaciuto più di tutto, a Dublino?”, con una tal aria “patronizing” che mi ha fatto sentire molto più avanti degli anni che ho: diciamo sulla settantina.
Sul momento, ho ammannito al baldo giovane una risposta qualsiasi (d’altronde, anche lui aveva fatto così con me - difatti non ricordo cosa mi abbia detto). Forse, per farla breve, ho ribattuto “Non certo il tempo atmosferico!”, mia vera spina nel fianco di quei giorni.
Ma con più agio e tempo per rispondere, in una tardiva meditazione sul mio soggiorno, alla fine qualche risposta me la sono data. E quindi, ecco quel che più di tutto mi è piaciuto:

Il retro delle case e i cortili poco curati.
Non è facile vederli, perché in genere i turisti si concentrano sul davanti delle città. Ma se guardi fuori dai finestrini della DART - il treno metropolitano - quando viaggi avanti e indietro tra il centro e la periferia residenziale, ti accorgi di esserne circondato.
Una vera visione da sogno.
Si poteva scorgere un ritaglio di didietro dublinese anche da una finestra della mia scuola:




Sempre dalla DART, all’inizio della giornata riuscivo a cogliere per qualche attimo la visione della luce del mattino sui ponti sul Liffey.
Straordinaria.



Poi, mi piacciono molto i toponimi irlandesi.
Probabilmente apprezzerei il gaelico d'origine – che però di sicuro non studierò mai. 
Ma più ancora mi deliziano le parole celtiche filtrate dalla lingua dei conquistatori inglesi.
Kilkenny, Malahide, Killester, Tipparery. Suoni selvaggi e dolci, che sanno di struggimento in un esilio lontano e di fiera ribellione.
Me li recitava come in un rosario – come dubitarne – la voce artificiale che annunciava le stazioni della DART.


Insomma, oramai si è capito: mi piaceva la stazione di Tara Street della DART.
Arrivare e tornare sempre dallo stesso posto, e saper leggere il tabellone delle partenze, mi dava l’impressione di essere una veterana della città.



Poi: mi è piaciuta l’architettura georgiana.
Non quella degli edifici ufficiali, governativi. No no, i monumenti li ho trovati grigi, noiosi, deprimenti… Il Trinity College, la Custom House, il Castello di Dublino, per me, se anche non ci fossero sarebbe lo stesso. Per una persona che viene dall’Italia, non per dire, vuoi mettere coi monumenti che abbiamo noi?
Ma le casette di mattoni rossi… Quelle sono davvero eccezionali!



Tra i monumenti ufficiali, però, me ne è piaciuto uno modernissimo: the Spire, il Monumento alla Luce
I dublinesi non lo apprezzano. Lo chiamano con nomi volgarissimi e divertenti (The Erection at the Intersection, o The Stiffy in the Liffey).
Capisco che, adesso che sono in crisi, preferirebbero darlo indietro per riavere i 5 milioni che gli è costato ai tempi della Celtic Tiger.
Ma a me, quell’ago mastodontico che si perde nel cielo sembra una delle sette meraviglie. Il simbolo delle idee geniali – quelle semplici e d’effetto. Per favore, tenetelo lì per sempre.



Un luogo comune: mi è piaciuto il cielo d’Irlanda.
Il maltempo quasi continuo mi ha fatto dannare, ma effettivamente il vento porta una varietà estremamente fotogenica.
In Irlanda ti basta puntare la macchina fotografica verso l’alto e hai buone probabilità di scattare qualcosa di interessante. Sempre e comunque.



Mi è piaciuto come la luce gira nelle case irlandesi, quando c'è.
Entra dall'alto a testa in giù, poi cammina per le stanze, sui tacchi. Come una donna.



Della casa in cui abitavo, mi piaceva la tolleranza con cui veniva considerato - o ignorato, per meglio dire - il naturale accumularsi delle cose. E della polvere sulle cose.
Tenete presente che nel Nord Europa, dove questa tolleranza è diffusa, le donne sono diventate grandi scrittrici e presidenti della Repubblica.



Io, insomma, non sono una persona deviante: sono solo nata nel posto sbagliato.

Mi è piaciuto l’accento irlandese.
E’ provinciale e buffo. Forse, alle orecchie degli anglofoni più accreditati fa un po’ l’effetto dell’accento bergamasco dalle nostre parti.
Io personalmente, una volta che mi sono abituata agli “oi”, alle “u”, agli “eu”, alla inesistenza del “th” (sai che nostalgia…), non ho mai capito così bene l'inglese parlato.
Grazie, Irlanda, per una volta non mi sono sentita handicappata in un paese anglofono.
Penso che sia merito del sostrato celtico: secondo me il gaelico si parla lentamente. Anche qui in Italia, in Lombardia si parla più lentamente che in altre zone. E anche qui hanno vissuto i Celti, prima dei Romani.
Come a dire: forse noi e gli Irlandesi siamo un po’ parenti. Che bello.


Se poi vi dicono che gli Irlandesi sono chiacchieroni, potete crederci.
Ma chiunque arrivi in Irlanda è preso dal morbo della conversazione. Anche i turisti parlano un sacco tra di loro.
Andate in un pub e fate la prova. E’ divertente.
A un livello più alto, il dono della favella è abilità scrittoria, predisposizione letteraria. Pensate solo a che incredibile concentrazione di scrittori ci sia nel popolo irlandese.
D'altronde, solo un popolo con una grande propensione alla narrazione può affiggere questo cartello



che potete trovare, naturalmente, sulla DART (traduco molto liberamente: STAI LONTANO! Se non rispetti la linea gialla potrai incontrare qualcuno molto più cattivo del controllore).

Inoltre, i dublinesi sono gentili.
Cercando di raggiungere la prigione di Kilmainham abbiamo chiesto indicazioni a un autista, e quello è sceso dal tram per mostrarci che strada dovevamo prendere. Tra i passeggeri, nessuno si è lamentato.
Perdetevi a Dublino, e vivrete una bella esperienza umana. Ne sono quasi sicura.

Poi, mi è piaciuto il pile che mi sono comprata al St. Stephen’s Moll, dopo davvero troppo, troppo tempo che soffrivo il freddo.
Ringrazio Inna, che mi ha ispirato e assistito nell’acquisto, un giorno che un acquazzone ci ha bloccate per un'oretta in  St. Stephen's Green, sotto i rami di una quercia, fino a quando la quercia ha smesso di ripararci dalla pioggia.
C’è un problema, e c’è la soluzione, è così facile.
Come quando ho la bici a terra: perché devo aspettare due settimane per gonfiarla? Chi lo sa.



E cito di nuovo Inna, dicendo: dell’Irlanda piacciono le mucche, stese sui prati come gatti.
Io le ho viste da vero dal finestrino dei pullman, durante le gite che ho fatto, e anche stampate sulle confezioni del burro.


Mi è piaciuto lo spessore dell'erba, che è molto verde, ma è anche molto spessa e morbida. La terra non si vede, tra un filo d'erba e l'altro.
Il lato positivo di tutta l'odiosa, freddissima pioggia che viene giù



Dell’Irlanda e di Dublino, però, di sicuro più di tutto mi piacciono le cose che non ho visto e che non ho fatto.
Dunque, mi piace pensare che sono ancora lì e che magari un giorno riesco a ritornarci.
Chissà come si dice “La speranza è l’ultima a morire”, in gaelico.

Sigla




E buona settimana!


Silvana

lunedì 1 settembre 2014

1 settembre 2014 - L'eccezione



Io  non sono mai stata particolarmente fortunata.
Non ho mai potuto contare sull'aiuto del Caso.
Diciamo, anzi, che il Caso me lo sono sempre sentito nemico, e la mia vita è stata una continua lotta non tanto contro le disgrazie, quanto contro una forza misteriosa che fa sì che fondamentalmente, a me, fatte un paio di eccezioni - ma non di più - non succede mai niente di sorprendente e interessante.

Prendete ad esempio la mia ultima giornata in Irlanda.
Sono andata con due amiche a Glendalough e a Kilkenny con una gita organizzata, in pullmann.


Ci siamo ritrovate in un certo posto a una certa ora, e via che si va.
I pullman erano due.
Il nostro autista era un signore gentile, la nostra guida un irlandese molto estroverso, che non è riuscito a tacere per tutto il tempo del viaggio - buon per noi, tanta listening comprehension. 
Anche se non tutti hanno apprezzato...

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Tutto bene, molto soddisfatte.
Ma, da un punto di vista romantico, niente di entusiasmante.

Al momento di ripartire da Kilkenny, getto uno sguardo nel primo autobus che trovo parcheggiato al punto di incontro, per capire se era il mio.
Ed ecco che gli occhi mi si sono allungati come quelli delle lumachine: l'altro pullman - quello che non era il mio - aveva un autista alto, magro, carino, con una buffa barba lunga 15 cm circa, grigio-rossiccia. 
L'impressione è stata che anche a lui si siano allungati gli occhi come alle lumache, per vedere me.

Ora, io so che difficilmente quel tipo poteva essere l'uomo della mia vita.
Che comunque incontrarlo a Dublino il giorno prima di tornare a casa non sarebbe servito a niente. Eccetera eccetera eccetera.
Però, caspiterina, non ci si poteva almeno rivedere di sfuggita, sempre come le lumache, alla fine del giro?
Naturalmente no: il secondo pullman a un certo punto ha deviato, ed è andato a finire chissà dove, nell'immensa metropoli.
Fare you well.


Lo stesso con le fotografie: non ho molta fortuna. Cerco di fotografare oggetti che si spostano, cieli che si incupiscono, persone che all'improvviso chiudono gli occhi.
Ad esempio, il sabato precedente siamo andati a Cork.
Girava per la città un certo numero di zingare.
Gli zingari in Irlanda sono tanti, non so perché. Probabilmente amano gli spazi aperti e verdi, e non hanno paura del cattivo tempo.
Vivono la loro vita al di fuori della società. Le donne si abbigliano con vestiti al di fuori dal tempo, Sono belle.
Qui, ho cercato di riprenderne un gruppo

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Perché si è dovuto mettere di mezzo quel malaugurato turista col suo zaino?
Uno scatto sprecato, che non potrò rifare mai più.

Però, di tanto in tanto, posso contare su qualche piccola eccezione.
A Kilkenny, ad esempio, ho incontrato questo piccolo gatto irlandese, in un contesto molto celtico

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E questo micio ve lo mando per dirvi: le vacanze sono finite, sono tornata, buon anno a tutti, buona fortuna, e naturalmente




Buona settimana



Silvana


P.S.: Un particolare grazie a Marilena per il supporto tecnico.