lunedì 29 febbraio 2016

29 febbraio 2016: Ricognizioni

Conoscete Adriana Asti?


E' un'attrice che a me piace molto.
Soprattutto da quando, in un'intervista alla televisione, l'ho sentita dire di sé: "Sono una persona tranquilla. Il tempo mi passa da solo. Mi piace, ad esempio, aprire un cassetto e rimetterlo in ordine".

Io è da tanto che mi dico che dovrei aprire tutti i mobili che ho - cassetti, armadi, cassapanche - per ripassare, riordinare, buttare quello che possiedo.
Revisionare la roba che ho in casa, in qualche modo, trovo possa aiutarmi a mettere in ordine quello che ho in testa.

Stamattina ho cominciato riaprendo un cassettino molto particolare.

E' il primo cassetto che ho avuto, quello in cui accumulo piccoli ricordi sin da quando ero bambina, e che ho trasportato pari pari nella casa dove abito adesso, dalla casa di mia madre.

Dunque, appena estratto dal mobile il cassettino appariva così:

Inline image 1

Tempo due minuti, ed è arrivata una rompiscatole a metterci il muso:

Inline image 2

Non penserete di avere un gatto e di poter aprire un cassetto impunemente, vero?

Qualche esempio dei ritrovamenti che ho portato alla luce:

Inline image 3

La patente del pellegrino che facevo timbrare lungo la marcia verso Santiago, a ogni tappa nuova.
Non sono sicura che questo sia il posto giusto per tenerla, ma alla fine l'ho lasciata dov'era.

Inline image 1

Il braccialetto d'ulivo che mia sorella mi ha portato in regalo da un suo viaggio in Toscana.
E' entrato a far parte del mio rituale universitario e oltre: lo mettevo per gli esami e i concorsi.
Funzionava: ho passato gli esami e ho vinto qualche concorso.
Ha fatto impazzire tutti i gatti che ho avuto - si sa, per i gatti il legno di ulivo è come una droga. 
Titina non è da meno.

Il cassetto contiene, a sua volta, svariate scatoline.
Qui potete vedere (più o meno)

Inline image 2

il tappo di una delle prime bottiglie di coca-cola arrivate in Unione Sovietica (dopo pochi mesi, l'Unione Sovietica è morta. E non per colpa della coca-cola), e un supporto per palle da golf che ho sgraffignato da Harrod's, in occasione del mio primo viaggio all'estero.
Già ho raccontato che ogni tanto rubacchio qualcosa.
Forse, da Harrod's ho rischiato la deportazione nelle ex colonie, ma ero giovane e scellerata. Oggi non avrei più il coraggio di farlo.

Qui

Inline image 4

alcune delle monetine che riportavo a casa dai miei viaggi.
Molte non hanno più corso.
Ad esempio, le pesetas col buco che mi piacevano tanto sono buone giusto per farci una collana.
La Regina che appare sulla moneta australiana al centro della foto, invece, è ancora viva, e spero che lo rimanga ancora a lungo.

Inline image 5

Questa è la chiave della stanza che a Mosca condividevo con Marina, Irene e Giulia.
Non credevo che l'avrei ritrovata. Non credevo che l'avrei riconosciuta.

Inline image 6

A Mosca avevamo fatto amicizia con una ragazza slovacca, Vera, che poco dopo essere tornata a casa si è sposata col suo fidanzato.
A tutte noi ha fatto avere un pezzo di nastro del suo abito.
Pare che dovesse essere benaugurale, ma con me non ha funzionato per niente.

Inline image 7

Questa stilografica me l'ha regalata mio padre.
Mio padre era appassionato di biro, penne e matite, ed era fiero dei miei successi scolastici.

Inline image 8

Questo è un ricordo di cui non posso parlare.

Inline image 9

Questi sono dei regalini ricevuti da amici a cui volevo molto bene e che mi hanno fatto del male.

Inline image 10

Questa è un'agendina mezza rotta con nomi e numeri di telefono che non ricordo più.
I pochi nomi che sono rimasti nella mia vita adesso stanno nella memoria del cellulare.

Alla fine della ricognizione, il cassettino appariva così

Inline image 11

E' come quando si tira fuori l'intestino dalla pancia aperta di un malato: alla fine, non sei sicuro di riuscire a rimettere tutto a posto.

Io ho buttato solo questo:

Inline image 13

la biro non scrive, il libretto di lavoro non mi serve più, la cartolina non ricordo che cosa dovesse ricordarmi.

Ho ricavato qualcosa dalla revisione di stamattina?
Certamente no: alla fine, tutto è ritornato come prima.

Inline image 14

Però Titina è stata contenta.
Lei ci ha guadagnato una pallina per giocare

Inline image 15

che ha subito perso da qualche parte, in uno degli angoli della casa.

Le case, si sa, hanno milioni di angoli.
Anzi, miliardi.


Buona settimana!


Silvana



lunedì 22 febbraio 2016

22 febbraio 2016 - Sciopero!

Poco fa, attraversando il parco per venire al lavoro, mi chiedevo: l'inverno potrebbe definirsi lo sciopero della natura?

Inline image 1

Gli antichi avevano elaborato un mito meno prosaico, a proposito della stagione morta.

Rapimento di Proserpina del Bernini.

Ma la natura, col suo scioperare d'inverno, che cosa vuole ottenere?
Al giorno d'oggi, purtroppo, di istanze da rivendicare ne avrebbe a bizzeffe.

Inline image 3
Il pm10 in diretta dalla mia finestra

Ma in passato?

Io camminavo, camminavo per il parco, e vedevo gli occhi della madonna (cioè: i nontiscordardimé - ancora non mi si rivelano le potenze divine...), periscopio primaverile delle zolle. Sentivo il TRRRRRRRRRRRRRRRRRRH TRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRH! legnoso dei picchi nascosti dietro ai tronchi (accidenti, sono riuscita a scorgerne uno di sfuggita solo un paio di anni fa),


 e mi chiedevo: la gastrite è lo sciopero dello stomaco? La stupidità è lo sciopero dell'intelligenza? 
Se penso alla malattia della madre del mio ex: l'alzheimer può essere considerato lo sciopero della coscienza che non ne vuole più sapere di ciò che ha visto?
E riporto a modo mio le parole di un'amica che ha perso due dei suoi cari, ultimamente: la morte potrebbe essere uno sciopero della voglia di vivere?

Ma poi, perché pensavo allo sciopero, mentre venivo al lavoro?

Molto semplice, lo confesso: ho già due belle mail del lunedì nella mia mente, molto lunghe, molto strutturate, ma col tempo divento sempre più pigra.
Ho sempre meno voglia di scrivere...
Cercavo un pretesto per non farmi sentire.

Ma allora, è vero che lo sciopero è tutt'una scusa per lazzaroni?


Un ricordo fantozziano: anni fa, quando mi sentivo trascurata da qualche amichetta, per una forma di sciopero della comunicazione non le mandavo la cartolina delle vacanze, durante l'estate.

Inline image 4

Ma queste amichette non ne hanno mai sofferto. Anzi, non devono essersene mai accorte. 
Si erano sempre limitate a rispondermi, quando mi facevo viva io.
Durante quelle estati, da loro non ricevevo nulla, e poi scomparivano nel nulla.
Amen.

Ma questo non ha nulla a che vedere con voi che mi leggete!

Lo sciopero, si sa, è uno strumento con cui si cerca di ottenere un miglioramento nella propria condizione.
Inoltre, presuppone che si torni a eseguire l'azione interrotta.
Dunque, la morte non può essere considerata una forma di sciopero.

E per rimanere in tema di graditi ritorni, vi copio una storia che avevo scritto tanto tempo fa - prima che le mie facoltà creative entrassero in sciopero.


Il merlo canterino 

C’era una volta un merlo canterino, nero come la pece e giallo come l’oro.

Viveva sul ramo più alto della quercia che cresceva nella piazza del paese, e ogni mattina, quando era ancora buio, apriva il becco per cantare la sua canzone. Che diceva:

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”

Il sole, richiamato da quella melodia, faceva capolino all’orizzonte, e si metteva a rotolare lentamente per il cielo fino a che, tornata l’ora di mettersi a dormire, con un ultimo raggio di saluto scendeva sotto l’orizzonte, dove rimaneva tutta notte.

Poi, il mattino dopo, tornava a udire la canzone che gentilmente lo chiamava in mezzo al cielo. E così via, ogni giorno uguale.

Il fornaio era molto contento di sentire l’uccello cantare. Gli teneva compagnia mentre faceva il pane. 

Lo spazzino puliva le strade ritmando i colpi di ramazza sulle note di quella melodia, e a 
volte la fischiettava insieme al merlo, ma piano piano, per non disturbare.

Anche la vecchina che abitava nell’ultima casa del paese, e andava nel bosco a cercare erbe medicinali sul fare del giorno, gli voleva molto bene. Il suo canto le scaldava il cuore, e la faceva sentire più giovane.

Purtroppo, in paese erano gli unici a pensarla in questo modo. 

“Questo uccellaccio ci disturba!”, si lamentavano i cittadini, “Col suo fischio malefico, ci 
toglie le ultime ore di sonno! Non ha rispetto! Non ha educazione! Non si può più andare avanti così!”

Finché un bel giorno, anzi, un brutto giorno, decisero all’unanimità che era ora di smetterla con tutto quel cantare.

Nel corso di un’assemblea municipale, ordirono i loro piani di vendetta.

“Lo uccideremo con un verme avvelenato”, si dissero, “Nessun merlo può scampare a tanta astuzia!”

Ma la vecchietta, quatta quatta, trovò il verme sotto la quercia della piazza e lo buttò dritto in un tombino.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, tornò a cantare il merlo.

Gli abitanti del paese, quando ancora una volta vennero svegliati all’alba, diventarono rossi di rabbia, e picchiarono i pugni sul cuscino. Ma non si diedero per vinti.

“Proveremo con il vischio!”, decisero. E prepararono una trappola di rami appiccicosi, che montarono sul ramo più alto della quercia perché il merlo rimanesse intrappolato.

Ma lo spazzino, senza farsi vedere da nessuno, mentre era ancora notte allungò il manico della scopa, e buttò a terra la trappola mortale. Poi, la fece sparire nel bidone della spazzatura e se la portò via.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, fischiò il merlo a pieni polmoni, poco prima che facesse luce.

Gli abitanti del paese non credevano alle proprie orecchie. Saltarono giù dal letto, 
spalancarono le finestre e guardarono in cima alla quercia. Quando videro il merlo stagliarsi nero nero contro il sole nascente, divennero bianchi come lenzuoli.

E ordirono un altro piano.

Pierino era il più bravo di tutti i monelli, con la fionda. Arrivò in piazza a notte alta, e si 
appostò su una panchina per essere lì pronto, a elastico teso, quando il merlo fosse salito sul suo ramo per mettersi a cantare.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, udirono gli abitanti del paese anche quel mattino, e diventarono verdi di bile.

Quando corsero in piazza a controllare, trovarono Pierino placidamente addormentato a 
pancia all’aria, sulla sua panchina.Aveva trovato, quella notte, una cesta piena di cannoli, bignè, pizzette e focaccine, proprio accanto al posto dove si era seduto ad aspettare. E, mangia che ti mangia, gli era venuto un sonno così pesante, ma così pesante, che si era perso il canto del merlo.

“Basta! A mali estremi, estremi rimedi!”, esclamò il Sindaco, come se i rimedi cui erano 
ricorsi fino a quel momento non fossero già abbastanza estremi. “Ci penserò io stesso! Sono o non sono un grande cacciatore?”

E così, la notte seguente, si mise alla finestra del municipio con la fascia tricolore sulla 
pancia e la doppietta in spalla, a fare la posta al merlo canterino.

“E adesso, cosa mai potremo fare?”, si chiesero disperati il fornaio, e lo spazzino, e la 
vecchietta che raccoglieva erba.
Niente, potevano fare.

Infatti, appena il merlo salì sul ramo per cantare la sua canzone, “Pum!”, si udì uno sparo, e il povero uccellino cadde a terra stecchito.

Gli abitanti del paese si misero a saltare e a ballare. “Adesso potremo dormire tranquilli 
quanto ci pare!”, dicevano, ridendo di gioia.
E subito tornarono a letto, coprendosi fino alle orecchie con le lenzuola. Ma…

“Sole d’oro, palla di fuoco, sali sali in mezzo al cielo. Dacci luce, dacci calore, splendi 
splendi su di noi. Grazie! Grazie!” sentirono fischiare al mattino.

“Non è possibile!” strillarono, e di nuovo spalancarono le finestre per guardare la quercia 
della piazza.

In alto in alto, stava appollaiato un merlo più nero, più giallo, più bello che mai. E cantava con voce fortissima.

La vecchietta, il fornaio e lo spazzino si asciugarono gli occhi, e tornarono alle loro faccende sorridendo consolati. Avevano capito che un merlo canterino non sarebbe mai mancato, sulle loro teste.

Infatti, come potrebbe sorgere il sole, se non ci fosse un merlo che gentilmente lo chiama?


E buona settimana!


Silvana



lunedì 15 febbraio 2016

15 febbraio 2016 - 80% acqua

Sabato sera sono andata a mangiare la pizza con un'amica.

La pizza è molto buona.
La pizza è un'estrema risorsa.
La pizza ti toglie la fame.
La pizza è conviviale.
La pizza volendo è anche ancora conveniente.

Io, che da qualche tempo devo limitarne il consumo per questioni di sospette intolleranze - ma mi spiace assaissimo - in questa mail esprimerò pensieri sparsi sulla pizza, così come le olive stanno sparse sulla pizza con le olive.

- Se si esamina la composizione di un italiano, si scoprirà che è fatto all'80% di acqua, e al 20% di pizza.
- Se l'Europa fa chiudere i forni a legna per questioni di igiene, allora sì che l'Italia esce dall'Europa.
- Non conosci il tuo territorio se non sai dove si mangia la meglio pizza.
- Appena arrivi in una zona nuova, ti devi informare: "Dove si mangia la pizza buona?". Così, saprai quasi tutto quello che ti serve sapere della zona.
- Quando lasci una certa zona per sempre, la nostalgia ti perseguiterà sotto questa forma: "Ah, che pizza si mangiava là...!"
- Chi ti spedisce in un posto e tu mangi una pizza cattiva, lo devi cancellare dalla lista dei tuoi amici.
- Puoi boicottare i negozi dei negozianti antipatici, però se un pizzaiolo è antipatico ma fa una pizza eccezionale, sopportalo e non rinunciare alla sua pizza.
- Questo, quanto meno, ti darà un argomento di conversazione mentre mangi la pizza: "Oh, ma che antipatico è il pizzaiolo?".
- La pizza la puoi fare anche in casa, ma è un'altra cosa. D'altronde, perché uscire a mangiare un piatto che puoi farti benissimo anche tu? Io, per lo meno, ragiono così.
- Nessuno capisce la pizza meglio di te.
- La gente si divide in tre categorie: quelli che avanzano la pizza, quelli che mangiano una pizza, quelli che una pizza non gli basta.
- Una coppia in cui un partner mangia più di una pizza e l'altro non finisce la pizza è destinata a durare a lungo.
- Non è detto che quello che mangia più di una pizza sia l'uomo.
- Le tattiche di attacco di una pizza sono innumerevoli. C'è chi comincia dal centro e avanza i bordi. C'è chi mangia prima i bordi. C'è chi la taglia a spicchi. Si dice che Craxi, ai suoi tempi d'oro, afferrasse la pizza con le mani e poi la sbranasse.
- Vuoi sentirti creativo? Esci a mangiare la pizza e dì al cameriere: "Voglio una Pizza Sprint senza cipolle senza origano senza provolone ma con la coppa il brie e i friarielli di Somma Vesuviana."
- Vuoi sentirti cattivo? Esci a mangiare la pizza e dì al cameriere: "Voglio una Pizza Sprint senza cipolle senza origano senza provolone ma con la coppa il brie e i friarielli di Somma Vesuviana."
- I Paesi poco civili sono quelli dove non sanno fare la pizza.
- Io sono stata in Russia alla fine dell'era sovietica, e ho mangiato una pessima pizza. 
- Lo stato attuale della pizza nella ex Unione Sovietica mi è ignoto, ma non ne ho sentito parlare molto bene.
- Un ricordo di giovinezza, episodio di miraggio collettivo: Eravamo tre amiche a Mosca, siamo andate al cinema. Durante l'intervallo, nell'atrio, abbiamo adocchiato il banco dei rinfreschi. Il banco era vuoto, ma decorato con una carta dai grossi motivi tondi, rossi e bianchi. Contemporaneamente ci siamo dette, con occhi sognanti : "Per un attimo quei disegni mi sono sembrati delle vere pizze!".
- Non sei adulto finché non capisci quale sia la tua pizza preferita. 
- Io, ad esempio, less is more:  più di tutto mi piace la margherita. Meglio ancora, la pizza bianca.
- Non capirò mai chi, annoiandosi, dice: "Oh, che pizza!"
- Piuttosto, dite "Oh, che barba!"

Dunque, per non annoiarvi la finisco qui. 
E avendovi già mandato il mio antico racconto sulla pizza, vi faccio leggere un antico racconto sulla barba.

La barba

Saverio aveva fatto un sogno spiacevole, quella notte. Aveva sognato di perdere tutti i 

capelli, e di essere costretto a esibire un cranio dalla pelle irrimediabilmente rossa e lucida. 

Forse distratto da questa circostanza, intento com’era nella disamina della sua densità 

pilifera, quando fu il momento di radersi, davanti allo specchio, con la faccia piena di schiuma, 

invece di partire dallo zigomo sinistro, come aveva sempre fatto, cominciò a passare il rasoio dalla  basetta destra. 

“Toh, che novità…”, pensò distrattamente. Poi, in fretta e furia terminò di prepararsi, e uscì 

di casa per andare al lavoro. 

Una volta sotto casa, scoprì che gli avevano rubato le ruote dell’auto, sostituendole con dei 

mucchi di mattoni. 

Reagì molto male, Saverio, ma dovette affrettarsi verso la stazione, rimandando la questione 

a un altro momento: non poteva arrivare tardi al lavoro. 

Entrato a fatica in un vagone freddo e non troppo pulito, non trovò posto a sedere, manco a 

dirlo, però incontrò Bastiani, suo compagno di banco alle scuole medie, che non vedeva dal giorno degli orali dell’esame di terza. 

Tra i due si instaurò all’istante una corrente di simpatia non meno forte di venticinque anni 

prima, tanto che dopo essersi scambiati esclamazioni di sorpresa e informazioni sul proprio stato  civile, arrivati al momento di illustrare la posizione occupata nel mondo lavorativo, Bastiani allungò a Saverio un biglietto da visita dicendo:

“Sei disegnatore tecnico di aeroplani, davvero? Io mi occupo di selezione del personale, e 

oggi pomeriggio dovrò esaminare i candidati per un posto analogo al tuo, nella tal ditta vostra 

concorrente. Se tu volessi…”

Saverio sorrise e rispose: “Ti ringrazio di cuore, ma io dove sto mi trovo bene!”. Però prese 

il biglietto da visita, e diede a Bastiani il proprio.

I due non ebbero il tempo di scambiarsi anche la promessa di rivedersi una sera a cena: il 

treno era già in stazione, e Saverio volò a prendere il tram che lo avrebbe poi lasciato davanti 

all’ingresso della sua ditta.

Nel corso della mattinata, il capo del personale lo chiamò nel suo ufficio e gli diede il 

preavviso di licenziamento.

Nel corso del pomeriggio, Saverio telefonò a Bastiani e si presentò al colloquio.

Verso sera firmò il contratto di assunzione con la nuova ditta.

Arrivato sotto casa, nel passare accanto alla sua auto le diede tre colpetti amichevoli sul 

cofano.

Terminata la cena, mentre rigirava il cucchiaino nella tazzina del caffè, sua moglie gli 

comunicò emozionata ed adorabile di essere in attesa del loro primo figlio.

Il mattino dopo, davanti allo specchio, con la faccia piena di schiuma, Saverio stava per 

cominciare a radersi dalla basetta destra, ma si fermò, allarmato.

Portò il rasoio sullo zigomo sinistro, ma si fermò di nuovo, pensieroso.

Buttò il rasoio nel cassetto, si sciacquò la faccia.

Nell’uscire di casa, diede un bacio a sua moglie e le comunicò: “Mi faccio crescere la 

barba!”


Allora, buon appetito.

E buona settimana!

Silvana


lunedì 8 febbraio 2016

8 febbraio 2016 - When I was in my prime



Quando ero ragazza, al liceo, mi piaceva molto andare in palestra.
Non perché avessi doti atletiche. Tutt'altro.

Mi piaceva vedere gli altri che facevano ginnastica.


​Il mio liceo - Immagine da internet che un giorno sostituirò

In particolare, c'era un ragazzo qualche anno più avanti di me - non ricordo come si chiamasse, qui lo soprannominerò Johnny - che era alto, biondo e riccio, bianco e liscio, con una bella faccia nordica, e portava sempre dei pantaloncini di seta molto sgambati di un giallo accesissimo.
In quegli anni, il giallo era il mio colore preferito.
Ebbene, Johnny negli anni '80 aveva un'elevazione incredibile
Guardarlo giocare a pallavolo sottorete era uno spettacolo. Saltava per fare muro in difesa, e per qualche attimo rimaneva sospeso nell'aria. Non saliva di più, ancora non ricadeva.
Era un istante magnifico.

Quando ero ragazza.
Quando ero nel fiore degli anni.
Un inglese tradurrebbe "When I was in my prime", dove "prime" è parola che non ha corrispettivo in italiano, e indica l'età migliore di una persona.

Inline image 1
Un consiglio di lettura: il romanzo della Spark
pubblicato da Adelphi come
 "Gli anni fulgenti di Miss Brodie"


L'altro giorno sono andata dalla parrucchiera.
Andare dalla parrucchiera non mi piace: a parte il trauma infantile primigenio, originato dai bottegai che giravano intorno alla mia testa disprezzandomi e ridendo di me perché ero grassa, non mi piace stare seduta davanti alla mia faccia per così tanto tempo.
La parrucchiera da cui vado adesso, per lo meno, ha tre grandi vetrine che danno sulla strada, e si riflettono negli specchi delle postazioni. Posso distrarmi guardando i passanti scorrere alle mie spalle in prospettiva sbagliata - non so come sia possibile, ma si capisce che vanno all'incontrario, come se avessero i piedi per aria.
Dunque, l'altro giorno a un certo punto ho visto passare una signora anziana, che si tirava dietro un carrello per la spesa.
Aveva i capelli di un bel grigio ferro, e andava dritta per la sua strada con aria energica e tranquilla.

Ho pensato a tutte le vecchie energiche che ci sono al mondo, che vivono come soldate della vita, e si inventano la giornata, e hanno visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e adesso non danno fastidio a nessuno, anzi, spesso rappresentano le colonne portanti delle generazioni più recenti - ma anche se sono sole, quanta tenerezza mi fanno, a vivere con tanto coraggio, così sospese negli ultimi istanti.


Mi è venuto in mente che a volte, magari, non è necessariamente la giovinezza l'età fulgente di una persona.
Io un po' ci spero.


Se ci arrivo.


Buona settimana


Silvana

lunedì 1 febbraio 2016

1 febbraio 2016 - Buchi spazio-temporali

Tempo fa ho letto che ogni Paese ha il suo quadro nazionale.

Se devo pensare al quadro nazionale italiano, mi viene in mente la Gioconda, perché è il ritratto più famoso del mondo ed è stato dipinto dal nostro Leonardo.

Inline image 2

D'altronde, se chiedessimo a un francese quale sia il quadro nazionale d'Oltralpe, senza dubbio risponderebbe anche lui "La Joconde!" - che, come tutti sanno, è stata dipinta in un castello sulla Loira ed è conservata al Louvre.
Questo ci dimostra quanto noi e i nostri "cugini" abbiamo in comune - oppure, a seconda di come si vede la questione, quanti motivi abbiamo per detestarci.

Inline image 1
Immagine da Pinterest

E dunque, in quell'articolo si diceva che il quadro nazionale spagnolo è "Las Meninas" di Diego Velazquez.

Inline image 3

A me quest'opera non piace particolarmente (d'altronde, nemmeno la Gioconda). Fosse solo per la nana coi capelli lunghi e sciolti, sulla destra, che trovo spaventosamente brutta e molto somigliante a me.
Però mi colpisce l'omaggio che l'artista ha voluto rendere ai suoi ammiratori, nel corso dei secoli: se state in piedi di fronte al quadro, e lo guardate bene (al Prado è possibile guardarlo - non così si può dire della Gioconda al Louvre, praticamente invisibile per il riflesso dei vetri antiproiettile, l'altezza a cui è appesa e l'orda di Giapponesi che l'assediano a qualsiasi ora), se guardate Las Meninas, dicevo, e osservate il fondo dello studio del pittore, vedrete uno specchio appeso, e quelli riflessi sono il Re e la Regina - e cioè, il Re o la Regina siete voi.
Il tempo non esiste più, l'Arte lo cancella con un colpo di spugna: Velazquez vi ringrazia dal profondo del Siglo de Oro per la vostra attenzione, incoronandovi.

E cadere in questo buco dello spazio-tempo a me personalmente dà il capogiro.

Una sensazione simile ho provato martedì scorso, quando sono andata a vedere la mostra di Vivian Maier allestita a Milano.

Guardavo la bella signora che sta per prendere il treno, alla stazione: è elegantissima nel suo cappotto col risvolto bianco, e col cappellino in tinta, è ben truccata, consapevole di sé - che classe, olalà la classe - all'improvviso si sente guardata e si gira, vede dietro a sé una donna alta, sgraziata, dai lineamenti ordinari, vestita come un armadio, che forse le sta facendo una foto.
E la guarda corrucciata, con disgusto.

Inline image 4

E la donna sgraziata siete voi, che guardate la fotografia.

Che dite, vi sarebbe piaciuto essere davvero Vivian Maier?
Un bel dilemma...


Buona settimana!


Silvana