lunedì 15 maggio 2017

15 maggio 2017 - Suoni e rumori

Che poi, considerate tutta una serie di cose, mi si potrebbe chiedere: ma come mai non hai ancora chiesto il trasferimento dalla biblioteca in cui lavori?

Molto è dovuto alla mia inerzia connaturata.
Altrettanto alla bellezza del luogo.

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Altrettanto ancora al percorso che seguo per arrivare - cioè al parco che attraverso in bicicletta.

Il fosso, ad esempio

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Mi piace metterci dentro gli occhi quando l'acqua è trasparente.
Mi piace guardare le canne che crescono.
E le erbe che si riflettono.
Le pietre del fondo che scintillano.
Mi piace incrociare la famiglia De' Paperis, certe mattine.
Sentire le acque che gorgogliano.
Ma, soprattutto, ascoltare le rane che gracidano.

Se dovessi fare la lista delle cose che mi mettono di buon umore, sempre e comunque, almeno un pochettino, il cra-cra delle ranocchiette occuperebbe una delle prime posizioni.
Mi stupisco di tornare a sentirlo a primavera, quando quegli animaletti si risvegliano dal loro misterioso letargo.
E ogni volta che odo un tonfo nell'acqua, un movimento furtivo, e quel richiamo forte, sguaiato, buffo, simpatico, grottesco, mi viene quasi da ridere.

Le rane, quando gracidano, sembra che ruttino.
Sono rutti alla faccia nostra, alla faccia dei cinesi che vanno a catturarle per mangiarsele (lo so, li ho visti) - ma loro ogni primavera ritornano lo stesso.
Coi loro rutti da adolescenti che hanno voglia di trasgredire le regole - però senza cattiveria.

Mi chiedevo, dunque, ascoltando le ranocchiette: cosa sarebbero i posti che ci piacciono, senza i rumori che li rendono vivi?
Il mercato, senza il vociare della gente.
La stazione, senza i richiami degli altoparlanti.
I boschi, senza lo stormire delle foglie.

Le mattine, senza il canto dei merli.

I merli non sono ancora scomparsi dalla mia città, per fortuna: a differenza dei passeri, ne vedo tanti in giro per i parchi e per i prati, lucidi neri e grassi come proto-industriali inglesi.
Quando li odo fischiare, all'alba, mi sento tanto donna di Neanderthal, sospesa sull'inizio del nuovo giorno.
Una sigla di apertura da brivido ancestrale.


E un altro suono che mi faceva venire i brividi, anni fa, era la campana della chiesa vicina all'albergo dove ho alloggiato, quando sono andata ad Amsterdam.

Il motivo che diffondeva era molto bello, struggente.
Non ho mai provveduto a registrarlo: il mio cellulare di allora non era abbastanza smart. D'altronde, non l'avrei registrato lo stesso.
Il mio albergo - e quindi anche la chiesa - era a poca distanza dalla casa-rifugio di Anna Frank.

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Immagine da Google

Fermare su un cellulare la musica che lei deve aver sentito ogni ora - ogni ora un'ora di sopravvivenza in più - mi sarebbe sembrato sacrilego.

Meglio lasciare che queste onde sonore si perdano nel tempo e nello spazio.



Buona settimana!


Silvana


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